Cuma

Cuma

Gruppi diversi di Greci provenienti dall’Eubea nella prima della metà dell’VIII sec. a.C., si insediarono nell’isola d’Ischia (Pithecusa) per impiantare un emporio commerciale e fondarono la polis di Cuma, che rappresenta la prima colonia greca non solo della Magna Grecia, ma di tutto il Mediterraneo occidentale. Fu quindi da questa città che elementi essenziali della cultura greca, quali ad esempio l’alfabeto, si irradiarono nella penisola italiana divenendo parti fondamentali delle più antiche culture italiche.

La colonia euboica si sovrappone e si integra ad un insediamento preesistente osco del quale sono stati scavati diversi gruppi di sepolture, ma l’estensione e la struttura non si conoscono ancora. Forse si trattava di una serie di nuclei abitativi sparsi nella piana cumana e sulle pendici dell’acropoli.

La città, che già dalle prime fasi si struttura sul modello greco negli spazi e nel sistema delle produzioni: la città ha infatti un’acropoli fortificata sulla collina, una parte in pianura che corrisponde alla città bassa e un territorio da sfruttare per l’agricoltura tutt’intorno. Cuma vive un periodo di grande ricchezza tra l’VIII e il VII sec. a.C. e controlla un territorio vastissimo che si estende a nord nell’intera piana di Licola e a sud fino a Miseno, oltre ad avere l’importante ruolo di polo commerciale per i principali centri osci ed etruschi dell’entroterra campano.

Alla fine del VI sec. a.C., dopo aver combattuto con valore la famosa battaglia di Cuma del 524 a.C. contro gli EtruschiAristodemo ne diventa il tiranno. Ancorché sgradito alle fonti storiche, egli dona alla città un importante potenziamento militare e un grande rinnovamento edilizio: tanti monumenti costruiti in grossi blocchi di tufo si fanno risalire a questo periodo.

Nel 421 a.C. la città viene conquistata dai Sanniti: comincia allora un processo di integrazione tra la cultura greca e quella sannitica, riconoscibile nell’uso della lingua osca accanto a quella greca, nel cambiamento dei costumi funerari e delle mescolanze di tipo cultuale.

La dominazione sannitica dura ben poco, perché nel 334 a.C. Cuma diventa civitas sine suffragio, un riconoscimento che la lega all’orbita di Roma. Anche questo ulteriore passaggio di potere genera dei progressivi cambiamenti che nell’arco di qualche decennio trasformano Cuma in una città romana.

In seguito Cuma e in esteso tutti i Campi Flegrei vengono scelti da Ottaviano Augusto come punto di riferimento strategico e militare nella lotta per il potere dopo il fallimento del secondo triumvirato con la guerra civile (44-31 a.C.). Diventato imperatore, Augusto dà una nuova luce alla città finanziando ristrutturazioni e abbellimenti, ispirati al modello di Roma e allo schema programmatico della sua “politica delle immagini”.

Il ruolo di primo piano nell’ascesa al potere di Augusto è evidente anche nelle pagine dedicate a Cuma dal poeta Virgilio nell’Eneide. La discesa agli Inferi di Enea, infatti, avviene dal Lago d’Averno, dove si trovava la Porta degli Inferi, e prima di intraprendere questo viaggio così pericoloso l’eroe si reca a Cuma a consultare l’oracolo della Sibilla.

Dal III sec. d.C. fino al medioevo si verificano una serie di alluvioni e impaludamenti che progressivamente trasformano il volto della città, senza tuttavia offuscarne la prosperità. Alla trasformazione contribuisce anche la cristianizzazione del popolo cumano: i templi principali dell’acropoli vengono trasformati in basiliche paleocristiane e sorgono tanti piccoli luoghi di culto e sepoltura ricavati nei grandi monumenti di età romana.

La guerra Greco-Gotica (535-553 d.C.) tra Ostrogoti e Bizantini si ambienta nelle sue ultime battute a Cuma, conquistata prima dall’uno e poi dall’altro potere: a questo periodo risale il potenziamento delle mura dell’acropoli che diventauna cittadella militare fortificata.

In seguito, viene conquistata e depredata da Longobardi e Saraceni e si verifica un progressivo abbandono del sito, fino alla definitiva distruzione nel 1207 ad opera dell’esercito napoletano guidato da Goffredo di Montefuscolo, giunto nella città per sbaragliare i predoni che stavano compiendo scorrerie in tutto il Regno e che si erano accampati proprio a Cuma.

I versi di Virgilio donano a Cuma e al mito della Sibilla una fama imperitura, che ancora oggi conduce nel sito visitatori da ogni parte del mondo, e che è stata nei secoli la principale ragione del grandissimo interesse erudito per il sito e la sua storia, nonché della ricerca archeologica.

I primi scavi, occasionali e saltuari, vengono eseguiti per conto del Viceré Alfonso Pimentel all’inizio del 1600, mentre dalla metà del 1700, nel fervore archeologico sollevato dalla scoperta dei Pompei ed Ercolano, il territorio di Cuma diventa oggetto di scavi finalizzati ad arricchire le collezioni dei nobili napoletani e puteolanidi preziosi reperti.

E’ solo tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800 che la ricerca archeologica comincia ad assumere un carattere sistematico e documentario. Tra gli studiosi più noti, De Jorio effettua scavi in vari punti della città, ne localizza i confini e restituisce una delle prime piante, in seguito tenuta in conto anche da Beloch nel suo lavoro sui resti archeologici di tutta la Campania; Paoli e Morghen compilano dei veri e propri atlanti di vedute dei monumenti meglio conservati, che ancora oggi evocano la suggestione delle rovine archeologiche che tanto attrassero i viaggiatori del Grand Tour.

Gli importanti scavi del Conte di Siracusa Leopoldo di Borbone a metà ‘800 producono ritrovamenti spettacolari: quello più famoso è forse il Mausoleo delle teste cerate, una tomba monumentale di età romana nella quale due defunti avevano due maschere di cera al posto della testa, che solleva nelle pubblicazioni dell’epoca dei bellissimi dibattiti tra studiosi sull’interpretazione storica e archeologica di questo costume funerario.

L’altro fondamentale scavo di fine ‘800 è quello del Colonnello Emilio Stevens, che effettua numerose campagne nella necropoli di Cuma, il cui grande pregio è stato quello di documentare in maniera puntuale le tombe scavate, la loro localizzazione e i relativi corredi. Dai taccuini dello Stevens Gabrici trasse gran parte del materiale per il suo volume sulla necropoli di Cuma del 1913.

I ritrovamenti di questi due grandi scavi vengono acquisiti dallo Stato e trasferiti al Museo Nazionale di Napoli dove trovano ancora oggi sede e in parte sono esposti al Museo Archeologico dei Campi Flegrei nel Castello di Baia.

Nel 1902 un’altra sensazionale scoperta desta l’attenzione della comunità scientifica: il fondo Artiaco, poco distante dalle mura settentrionali della città antica, restituisce la monumentale Tomba a tholos, che all’epoca fa scalpore perché viene confrontata con le tipologie omonime di tombe micenee e una tomba principesca della seconda metà dell’VIII sec. a.C. (Tomba 104) che fornisce una straordinaria testimonianza del rituale della sepoltura eroica associato a un capo indigeno.

All’inizio del ‘900 vengono condotte varie campagne di scavo che interessano il centro della città antica. La più importante, quella che dà vita all’istituzione del Parco archeologico è diretta da Amedeo Maiuri, il quale forte di un’organizzazione poderosa finanziata dallo Stato, mette in luce i settori e i monumenti principali della città antica. Da quel momento la ricerca scientifica è proseguita ad opera della Soprintendenza e dagli anni ’90 ad oggi anche ad opera di Istituti universitari italiani e stranieri e su finanziamento della Comunità Europea.

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